di Luigi Oliveri
L’intento del d.lgs 36/2023 di chiarire e semplificare l’assetto organizzativo necessario per gestire le complesse attività che portano all’acquisizione di prestazioni contrattuali non risulta, purtroppo, ottenuto.
Uno dei punti più qualificanti della riforma è la riconfigurazione del Rup, che, con un artificio più semantico che sostanziale (per quanto le funzioni del Rup risultino significativamente modificate), passa da responsabile unico del procedimento a responsabile unico del progetto.
Bene avrebbe scelto chi ha redatto il codice ad abbandonare l’acronimo “Rup”, per evidenziare ancor meglio l’innovatività della nuova disciplina.
Infatti, la relazione illustrativa al codice, con riferimento all’articolo 15, comma 1, si deve sperticare in una spiegazione dettagliata, secondo la quale esso “ridisegna la portata e la figura del RUP, che è un responsabile “di progetto” (o di “intervento”) e non di “procedimento” (definizione forse viziata dal riferimento alla legge n. 241 del 1990, che non appare pienamente conferente): infatti, si tratta del responsabile di una serie di “fasi” preordinate alla realizzazione di un “progetto”, o un “intervento pubblico” (fasi per il cui espletamento si potrà prevedere, come si dirà, la nomina di un “responsabile di fase”, a sostegno dell’attività del RUP)”.
Perché non rompere anche sul piano comunicazione col passato e non qualificare la figura come responsabile di intervento e, dunque, “Rui”? E, soprattutto, perché insistere con spiegazioni insufficienti, basate sulla distinzione per negazione, invece che sul riempimento di contenuti della definizione?
Non ha particolare utilità affermare che il responsabile unico di progetto non è un responsabile del procedimento. Sarebbe, piuttosto, interessante provare a definire cosa si intenda per progetto o, meglio, intervento e specificare perché, allora, ciò risulti diverso da un procedimento.
Indirettamente si evince, non dalla norma, bensì dalla relazione (scrivere la norma più o meno con i contenuti della relazione era proprio impossibile?) che il progetto o intervento consiste in un insieme di fasi operative (che in realtà ben possono essere qualificate anche come distinti procedimenti), tutte connesse tra di loro sì da creare un intervento finale, consistente nella sostanza nell’acquisizione della prestazione; il risultato, tuttavia, pare non consista di per sé nell’esecuzione della prestazione, sibbene nell’effettivo conseguimento del fine pubblico cui è preordinata. Per esempio, il risultato retrostante all’appalto per la realizzazione di una scuola non consiste nell’inaugurazione dell’edificio realizzato, ma nell’avvio delle attività didattiche; il risultato connesso all’affidamento del servizio di pulizia non consiste nella sottoscrizione del contratto e nella verifica della presenza nelle sedi degli addetti, bensì nell’assicurare condizioni di igiene e pulizia effettive.
Ma, allora, cos’è il “progetto” o, meglio, “intervento”? In assenza di una definizione normativa (della cui assenza non ci si può che dolere) per approssimazione possiamo ritenere si tratti di uno specifico segmento gestionale dell’attività della PA, finalizzato appunto ad ottenere una prestazione da parte di un appaltatore, come conseguimento di un risultato programmato e definito negli atti con i quali l’amministrazione individua obiettivi operativi: i programmi delle opere pubbliche e delle forniture e servizi, certo, ma anche tutto quanto attui l’indirizzo politico amministrativo, quindi anche il Piao nelle sue sezioni gestionali. Anche le acquisizioni di valore al di sotto della soglia di inserimento obbligatorio nei piani triennali non possono essere esenti da una programmazione anche solo gestionale, un tempo il Peg, oggi il Piao.
Se la definizione di progetto o intervento proposta sopra può considerarsi sufficiente, allora possiamo iniziare a chiederci quale sia l’esatta collocazione del Rup nell’organizzazione e, conseguentemente, provare ad intendere nel modo corretto le relazioni con il vertice organizzativo della struttura di appartenenza, da un lato, e, dall’altro lato, con i “responsabili di fase”.
Intanto, occorre segnalare che il codice purtroppo risulta confusionario anche nell’individuazione delle specifiche fasi che compongono l’intervento.
Il comma 1 dell’articolo 15 sembra individuare 4 distinte fasi, quando stabilisce che il Rup sia responsabile appunto delle fasi “di programmazione, progettazione, affidamento e per l’esecuzione di ciascuna procedura soggetta al codice”.
Il successivo comma 4 è, invece, formulato come segue: “Ferma restando l’unicità del RUP, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, possono individuare modelli organizzativi, i quali prevedano la nomina di un responsabile di procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile di procedimento per la fase di affidamento. Le relative responsabilità sono ripartite in base ai compiti svolti in ciascuna fase, ferme restando le funzioni di supervisione, indirizzo e coordinamento del RUP”. L’elencazione è scritta in altro modo e può essere intesa, dalla collocazione delle virgole e delle congiunzioni, nel senso che le fasi siano solo due: programmazione, progettazione ed esecuzione, da un lato, e fase di affidamento, dall’altro.
La relazione illustrativa non fornisce alcun aiuto per dirimere la questione. Si limita ad affermare: “Il comma 4 prevede la possibilità per le stazioni appaltanti di nominare un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile per la fase di affidamento. Tale opzione presenta il vantaggio di evitare un’eccessiva concentrazione in capo al RUP di compiti e responsabilità direttamente operative, spesso di difficile gestione nella pratica. In caso di nomina dei responsabili di fase, infatti, rimangono in capo al RUP gli obblighi – e le connesse responsabilità – di supervisione, coordinamento, indirizzo e controllo, mentre sono ripartiti in capo ai primi i compiti e le responsabilità delle singole fasi a cui sono preposti. Si introduce, quindi, un principio di “responsabilità per fasi””.
Resta, purtroppo, aperta sul piano interpretativo, la possibilità di leggere tali disposizioni sia nel senso che le fasi e, quindi, i responsabili di fase siano quattro, sia quella di considerare una fase unica quella di programmazione, progettazione ed esecuzione, distinta da quella di affidamento.
C’è da osservare, tuttavia, che l’univocità della terna programmazione-progettazione-esecuzione è connessa dalle evidenti necessarie competenze tecniche del responsabile di fase; ma tale univocità della terna è rotta sul piano della scansione temporale, considerando che la fase esecutiva non è in continuità con quelle di programmazione e progettazione, poiché tra esse si frappone quella dell’affidamento.
A ben vedere, considerando che possono certamente entrare in gioco competenze distinte per ciascuna delle 4 fasi evidenziate dalla confusa normativa (di programmazione generale e contabilità per la programmazione; di specifica tecnica per la progettazione; di natura amministrativa per la fase di affidamento; di nuovo di specifica tecnica per l’esecuzione), avrebbe certamente senso sul piano organizzativo e della qualificazione dei profili di ruolo e competenza dei responsabili di fase considerare che i possibili responsabili siano quattro e non due. Ma, temiamo che questo dubbio interpretativo si perpetui per lungo tempo, sebbene, in realtà, la sua soluzione non dovrebbe essere univoca e immodificabile: la sempre enunciata, ma concretamente mai tutelata, “autonomia organizzativa” degli enti dovrebbe consentire a ciascuno di essi di leggere la norma nel modo ritenuto più consono e decidere, quindi, se le fasi siano 2, 3 o 4 e in base a ciò scegliere anche quanti siano gli eventuali responsabili di fase.
Torniamo alla questione degli assetti organizzativi. Il “progetto” o “intervento” di cui è responsabile il Rup appare molto chiaramente appartenere proprio ai “progetti” finalizzati alla realizzazione di obiettivi gestionali, presenti in vari strumenti programmatici e gestionali (Dup, programmi di opere e forniture/servizi, Piao) degli enti.
L’incarico di Rup attribuisce, quindi, direttamente a tale soggetto il ruolo di vero e proprio gestore di un insieme di attività, finalizzate al conseguimento degli obiettivi gestionali.
In tale senso, la funzione del Rup quale responsabile di progetto o intervento è da intendere non propriamente corrispondente a quella di responsabile del procedimento. Infatti, mentre il responsabile del procedimento cura specificamente le fasi interne procedurali di un certo iter, assicurando appunto la correttezza procedimentale, il Rup, invece appare specificamente chiamato a conseguimento di un risultato gestionale, alla stregua di quello dei responsabili di servizio o dirigenti, ma ad un livello organizzativo diverso. Mentre il responsabile di servizio o dirigente coordina e gestisce le attività di un’intera struttura organizzativa, con poteri anche di decisione sulla spesa e di adozione di tutti i provvedimenti costitutivi, modificativi o estintivi di situazioni giuridiche, il Rup gestisce le attività di uno o più progetti/interventi funzionali al risultato complessivo della struttura di appartenenza, potendo adottare solo alcuni atti, non tutti incidenti sulla sfera giuridica di terzi, non gestendo direttamente risorse finanziarie e potendo gestire a livello di coordinamento limitate dotazioni di personale: segnatamente i responsabili di fase, se nominati.
Tali affermazioni consentono di comprendere meglio, allora, quanto prevede l’articolo 6, comma 1, dell’allegato I.2 al codice, a mente del quale “Il RUP, anche avvalendosi dei responsabili di fase nominati ai sensi dell’articolo 15, comma 4, del codice, coordina il processo realizzativo dell’intervento pubblico nel rispetto dei tempi, dei costi preventivati, della qualità richiesta, della manutenzione programmata. Per la fase dell’esecuzione vigila, in particolare, sul rispetto delle norme poste a presidio della sicurezza e della salute dei lavoratori”.
Il codice, dunque, pare configurare il Rup come diretto responsabile del progetto gestionale e dotato di alcune competenze latu sensu manageriali, di coordinamento di collaboratori, identificabili nei responsabili di fase, se incaricati.
Allora, quali sono le relazioni intercorrenti tra Rup e, verso l’alto, dirigente/responsabile di servizio e, verso il basso, responsabili di funzione?
E’ il responsabile di servizio o dirigente che:
- incarica il Rup;
- attiva il processo di programmazione (con le proposte e collaborazioni del Rup);
- contribuisce all’appostamento delle risorse in bilancio ed ai metodi per il reperimento dei finanziamenti;
- approva il progetto esecutivo;
- adotta la decisione a contrattare, prenotando la spesa;
- sottoscrive il contratto;
- soprattutto, dirige e coordina il complesso delle attività, comprendenti anche gli interventi legati all’acquisizione di prestazioni contrattuali, dei dipendenti assegnati alla propria unità organizzativa, per ottenere gli obiettivi ad esso attribuiti, dei quali ogni specifico intervento/progetto è un componente.
E’ il Rup, nel rispetto delle molteplici competenze attribuitegli dal codice, allegati compresi (che in questa sede si ritiene pleonastico elencare) che:
- collabora col dirigente o responsabile di servizio ai fini della programmazione;
- si coordina col dirigente o responsabile di servizio, per rispettare tempi e flussi gestionali;
- si assume la diretta responsabilità del risultato connesso alle funzioni di propria competenza legate alle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione;
- in particolare, valida o controlla l’opera di validazione dei progetti;
- in particolare, decide sistemi di gara, criteri di gara, modalità di sottoscrizione del contratto;
- coordina le attività dei responsabili di fase, se incaricati.
Cosa fanno e come inquadrare i responsabili di fase, allora?
Torniamo all’articolo 15, comma 4, del codice: “Ferma restando l’unicità del RUP, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, possono individuare modelli organizzativi, i quali prevedano la nomina di un responsabile di procedimento per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile di procedimento per la fase di affidamento. Le relative responsabilità sono ripartite in base ai compiti svolti in ciascuna fase, ferme restando le funzioni di supervisione, indirizzo e coordinamento del RUP”.
La norma è un po’ sincopata, ma da essa si ricava che:
- la disarticolazione del progetto/intervento in fasi alle quale preporre specifici responsabili di fase è un “modello organizzativo”;
- di conseguenza, è l’ente che decide se avvalersi o meno di tale modello;
- quindi, non è il Rup che decide l’attivazione di tale modello: esso va disegnato e regolato nel regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e la sua concreta utilizzazione è rimessa alla decisione del vertice organizzativo, quindi il dirigente o responsabile di servizio;
- i responsabili di fase, per quanto così denominati, sono considerati dalla norma come responsabili di procedimento: quindi le loro funzioni sono da ricondurre in generale a quelle prevalentemente istruttorie e procedurali, indicate dalla legge 241/1990.
Ora, nei confronti dei responsabili di fase (di procedimento), il Rup:
- dispone, ai sensi dell’articolo 15, comma 4, del codice, funzioni di supervisione, indirizzo e coordinamento;
- si avvale del loro operato in tutte le fasi del progetto intervento, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, dell’allegato 1.2.
Purtroppo, l’allegato non elenca in modo chiaro le specifiche funzioni appannaggio dei responsabili di fase.
Solo in alcuni casi è possibile ricavare loro specifiche e tipiche competenze:
- responsabile della fase di progettazione: sottoscrizione della la validazione del progetto posto a base di gara unitamente al Rup. L’articolo 6, comma 1, lettera e), contribuisce a concludere che la fase di progettazione sia autonoma e non necessariamente un unicum con quelle di programmazione ed esecuzione;
- responsabile dell’affidamento: acquisizione del CIG;
- responsabile dell’affidamento: verifica della documentazione amministrativa.
Non sono mai menzionate nemmeno indirettamente specifiche e tipiche competenze del responsabile della fase di programmazione e della fase di esecuzione.
Negli articoli 6, 7 e 8 dell’allegato I.2, troviamo la formula un po’ ripetitiva e vuota secondo la quale il Rup svolge tutti i compiti relativi alla realizzazione dell’intervento pubblico che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti.
Una disposizione che, oggettivamente, dispone e chiarisce ben poco, in particolare in relazione ai rapporti con i responsabili di fase/procedimento.
E’ chiaro, tuttavia, che i responsabili di fase/procedimento possono essere chiamati a curare direttamente ciascuna delle attività elencate dai citati articoli 6, 7 e 8 che da un lato non siano rimesse all’esclusiva competenza del Rup e, dall’altro, non abbiano caratteristica provvedimentale: non siano, cioè, in grado di costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche.
In assenza di una specificazione delle possibili competenze dei responsabili di fase/procedimento (che invece i redattori avrebbero fatto molto bene a prevedere), spetta a ciascun ente, nell’ambito del modello organizzativo adottato, spendere parole di chiarimento sul confine delle competenze operative di questi soggetti.
Quel che è chiaro è che comunque l’imputazione del risultato della loro attività è da riferire al Rup, che non a caso mantiene poteri di supervisione, indirizzo e coordinamento. Dunque, i responsabili di fase/procedimento rispondono direttamente al Rup.
Ma, non possono non rispondere anche al soggetto che li incarica. Il codice non contiene nessuna indicazione su tale elemento. Può ritenersi una competenza del Rup?
Sebbene ragioni pratiche lascino anche argomenti in favore della ricognizione di una competenza diretta del Rup ad incaricare i responsabili di fase/procedimento, poiché essi sono da considerare, appunto, come responsabili del procedimento, non si possono pretermettere, allora, le disposizioni della legge 241/1990. Sul tema, l’articolo 5, comma 1, è chiarissimo: “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale”.
Pertanto, è da concludere che in ogni caso è il responsabile di servizio o dirigente che, applicando l’assetto organizzativo disposto dall’ente, decide, ovviamente anche di concerto col Rup, se e chi incaricare come responsabile di fase/procedimento. In tal caso, andranno specificati quanto più chiaramente possibili le funzioni assegnate ed evidenziato che detti responsabili rispondono in via diretta della supervisione, indirizzo e coordinamento del Rup e comunque, dell’autorità che li incarica.
In conclusione, l’assetto organizzativo immaginato dal codice conferma l’impressione di poca conoscenza dell’operatività: come minimo, infatti, implica l’allungamento dei flussi decisionali ed operativi. Inoltre, emerge con evidenza che l’archetipo di PA preso in considerazione è quello dell’ente di medio grandi dimensioni, con molto personale e strutturazione complessa: nulla che abbia a che vedere con la stragrande maggioranza degli enti locali.
L’errore di fondo è continuare a pretendere un responsabile “unico” appunto per un così complesso costrutto procedurale come un “intervento” pubblico. Meglio sarebbe stato tornare del tutto alla disciplina vigente tra il 1995 e il 1998, che prevedeva tra distinti responsabili: il coordinatore, il responsabile della programmazione-progettazione, il responsabile dell’esecuzione.
FONTE: https://leautonomie.asmel.eu/