Secondo L’ANAC: una “Falla”. Una Proposta Conservativa.
Dopo le perplessità avanzate qualche settimana fa sulle modalità di affidamento degli appalti sotto-soglia comunitaria, il Presidente dell’ANAC lancia ora l’allarme su una possibile “falla” del D.lgs. 36/2023 (v. qui il post dell’ANAC sulla pagina istituzionale di Linkedin), che dovrebbe “essere al più presto emendato per evitare la procedura di infrazione europea“.
L’iter argomentativo seguito dall’ANAC è sintetizzabile come segue:
a) ai sensi dell’art. 15 c. 6 D.lgs. 36/2023 ” […] le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono istituire una struttura di supporto al RUP, e possono destinare risorse finanziarie non superiori all’1 per cento dell’importo posto a base di gara per l’affidamento diretto da parte del RUP di incarichi di assistenza al medesimo […] “;
b) nei casi in cui l’importo posto a base di gara sia superiore più di 100 volte alle soglie comunitarie per l’affidamento diretto di servizi (gli incarichi di assistenza, infatti, sicuramente non possono consistere in lavori, né in forniture), l’art. 15 c. 6 consentirebbe affidamenti diretti per importi anche superiori alle predette soglie;
c) l’art. 15 c. 6, quindi, sarebbe comunitariamente illegittimo nella parte in cui consentirebbe gli affidamenti diretti da parte del RUP senza distinguere in ordine all’importo posto a base di gara ed alle relative soglie comunitarie applicabili.
Seguendo il ragionamento dell’ANAC, si ponga, a titolo esemplificativo, il seguente caso:
i) la soglia comunitaria applicabile al servizio di assistenza al RUP sia pari ad € 215.000 (ad es. in relazione ad un appalto di lavori nei settori ordinari indetto da un’autorità governativa sub-centrale: la soglia è precisamente quella di cui alla lettera “c” dell’art. 14 c. 1 D.lgs. 36/2023);
ii) l’importo dei lavori posto a base di gara è pari ad € 30.000.000 (quindi più di 100 volte superiore alla soglia comunitaria di € 215.000);
iii) se la stazione appaltante destinasse l’1% delle risorse finanziarie al RUP per gli incarichi di assistenza, destinerebbe quindi € 300.000;
iv) se il RUP decidesse di farsi assistere da un solo professionista, allora potrebbe affidargli direttamente un servizio di assistenza per l’importo di € 300.000, quindi al di là della soglia comunitaria di € 215.000.
A mio avviso la questione esiste, certamente, ma può essere risolta già sul piano interpretativo-applicativo senza la necessità di un intervento correttivo del legislatore.
Tra i criteri interpretativi ha una certa rilevanza il criterio dell’interpretazione comunitariamente orientata (evoluzione del canone dell’interpretazione costituzionalmente orientata, con cui condivide diversi elementi strutturali e funzionali). Il criterio dell’interpretazione comunitariamente orientata, in estrema sintesi, impone di scartare, tra i possibili esiti interpretativi, quelli per i quali si genererebbe un’antinomia rispetto a disposizioni/norme/principi comunitarie.
Nel caso di specie, un’interpretazione comunitariamente orientata dell’art. 15 c. 6 condurrebbe a ritenere legittimo l’affidamento diretto da parte del RUP solo se il relativo importo non superi la soglia comunitaria applicabile alla specifica realtà istituzionale. Non vi è necessità, cioè, di emendare il Codice, perchè l’effetto conformativo delle disposizioni comunitarie può ben essere riconosciuto in via meramente interpretativa: la stessa Autorità Nazionale Anticorruzione potrebbe ad es. ex art. 220 c. 2 impugnare un eventuale provvedimento di affidamento diretto ex art. 15 c. 6 oltre soglia comunitaria (al fine di stimolare l’interpretazione giudiziale degli organi competenti) o redigere ex art. 222 c. 2 un contratto-tipo relativo agli affidamenti diretti predetti (specificando la sua inapplicabilità per importi oltre soglia comunitaria).
Vi è, poi, un secondo sentiero interpretativo (a mio modo di vedere preferibile), per il quale le modalità di affidamento rimangono comunque quelle stabilite dal codice, cosicché, anche al di sotto della soglia comunitaria, l’affidamento diretto é possibile solo fino a 140000 euro, essendo invece necessaria la procedura negoziata per importi tra € 140000 e la soglia comunitaria. Questo secondo iter interpretativo differirebbe dal primo perché il primo valorizzerebbe il solo profilo della compatibilità comunitaria e condurrebbe all’ammissibilitá dell’affidamento diretto anche sopra 140000 euro purché entro la soglia comunitaria.
Le ragioni per cui ritengo preferibile il secondo iter interpretativo nascono dalla particolare struttura del Codice e per il modo in cui esso stesso si “presenta“: l’art. 227, nel disporre che ” […] ogni intervento normativo incidente sulle disposizioni del codice e dei suoi allegati, o sulle materie dagli stessi disciplinate, è attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in essi contenute […] “, ci restituisce una struttura del Codice compatta, coerente, ben costruita sistematicamente. In altri termini, il fatto che l’abrogazione implicita in virtù di sopravvenienze normative sia da ritenersi inammissibile (per espressa previsione normativa) dà la misura della preferibilità di un approccio interpretativo per cui anche la rilevazione di deroghe innominate all’interno dello stesso Codice può ritenersi corretta solo laddove l’antinomia sia palese e, soprattutto, non altrimenti risolvibile sul piano interpretativo.
Il primo iter interpretativo, come già visto, nel concentrare l’attenzione sul solo profilo del rispetto delle soglie comunitarie, condurrebbe a rilevare una deroga per gli affidamenti di importo superiore a quelli per cui l’affidamento diretto ex art. 50 D.lgs. 36/2023 è consentito. Tuttavia, se il legislatore avesse inteso parlare di deroga, lo avrebbe fatto esplicitamente (si pensi, tra l’altro, che l’art. 15 figura nella parte I rubricata “I principi“): se non lo ha fatto, è da presumersi una naturale coerenza sistematica con le altre norme del Codice, tra cui per l’appunto l’art. 50.
L’art. 15 c. 6, piuttosto, va inteso come una disposizione che prende atto della complessità dei compiti del RUP (ora “Responsabile Unico di Progetto“), configurato sempre più come un project manager la cui attività è finalizzata all’obiettivo del risultato (art. 1) e, per questa ragione, deve poter godere di sufficienti risorse umane e finanziarie. Il riferimento all'”affidamento diretto” va quindi visto anche e soprattutto come un riconoscimento dell’autonomia del RUP ai fini del perseguimento del risultato del contratto pubblico: il RUP, cioè, può scegliere direttamente da chi farsi assistere (il che significa, ad es., che il professionista non possa essere indicato ab aexterno dall’Amministrazione) o, comunque, può ben scegliere il roster dei potenziali professionisti, a seconda che si tratti di importi per cui il codice prevede l’affidamento diretto o la procedura negoziata.
FONTE: https://newscontrattipubblici.it/
Scritto da: DONATELLO PULIATTI