L’intervista rilasciata dall’inquilino di Palazzo Vidoni al Messaggero il 21 maggio 2024 “Non più solo concorsi Nella Pa promozioni decise dai dirigenti” è la dimostrazione che il tema dell’organizzazione del lavoro pubblico non è ancora nemmeno giunto all’anno zero.
Si continuano a richiamare slogan, indicazioni, lemmi, parole e lessico di una visione dell’organizzazione proveniente dagli abissi del tempo degli anni ’90, improntata ad un New Public Management morto e sepolto da decenni e ad una concezione del lavoro secondo la quale l’operatività, i “risultati” o prodotti del lavoro sono dovuti all’azione individuale, pulviscolare e parcellizzata dei singoli individui. Sicchè il “merito” deve necessariamente condurre a valutazioni fortemente differenziate ed essere anche la base per la “carriera”.
E nessuno che tenga conto che ogni discettazione appunto sulla carriera e connessa “maggiore attrattività” del lavoro pubblico può essere molto interessante, ma presuppone la sussistenza di una condizione oggi inesistente: l’esistenza di una “carriera” nel lavoro pubblico, carriera che oggi non c’è, perché l’intera normativa è impostata sulla chiusura delle aree, con la possibilità di progredire verticalmente esclusivamente in base alle complesse e limitate procedure di progressione verticale.
Allora, le discettazioni sono utilissime, purchè presentate come valutazioni di un ordinamento di là da venire e che si vorrebbe fosse, invece di indicarle come strade percorribili hic et nunc, come invece sempre accade.
In quanto, poi, al tema della valutazione e del merito, si ha sempre più chiara la sensazione che i vari inquilini di Palazzo Vidoni e i consulenti nella loro orbita (per altro più o meno sempre gli stessi da decenni) se fossero allenatori di calcio riterrebbero compiuto il loro compito esercitando la leadership, motivando i giocatori e limitandosi a chiedere alla società di comprare i migliori, lasciando poi che in campo giochino guidati dal “talento” e dal “merito” individuale.
Non funziona così. In ogni squadra c’è il grande talento come anche il “portatore d’acqua”: senza di esso, i Merckz o i Pogacar non conquistano le vette e le tappe, i Maradona e i Pelè non ricevono passaggi. Oltre alla vita del talento, occorre anche la “vita da mediano”, perché l’equilibrio di un sistema non può e non deve essere ricercato solo nel talento di madre natura, ma prima e soprattutto nel “metodo”.
Infatti, puntuale assente delle discettazioni su “merito”, “valutazione” ed “obiettivi” sono metriche del lavoro e risultati intesi come prodotti. Si parla e straparla della differenziazione delle valutazioni, ma mai sui compiti da assegnare allo scopo di ottenere risultati che in un’organizzazione complessa debbono essere prima di tutto di squadra.
Questo vale soprattutto nella PA, che deve provare ad assicurare a tutti i cittadini, senza disparità e con corretto utilizzo delle risorse, parità di trattamento. Il cittadino non può sperare di ottenere il servizio dal singolo dipendente di talento e meritevole: deve ottenere dall’organizzazione uno standard definito.
Allora, prima ancora di guardare al “merito”, appunto occorrerebbe concentrarsi sul “metodo”. La leadership, il merito, la diversificazione sono solo sofismi, se prima non si costruisce un chiaro sistema di definizione dei prodotti/servizi da rendere, degli standard da rispettare, della qualità da garantire e delle metriche del lavoro da costruire.
Tornando al calcio, un grande allenatore come Guardiola ha sempre, certo, avuto a disposizione grandissimi campioni, ma ha costruito un metodo di organizzazione molto efficiente, tale persino da rinunciare al talento del centravanti che con merito segna molti gol: per anni nelle sue squadre i gol sono stati realizzati in modo diffuso da tanti giocatori e non in via prevalente solo da uno o due di talento e con merito.
La carriera che serve, il merito da premiare consiste, prima ancora di ogni cosa, nella formazione di funzionari che comprendano a fondo il servizio da rendere, le regole che lo caratterizzano, i problemi operativi, per tradurli in compiti, in ruoli e metodi di lavoro grazie ai quali standardizzare tempi, qualità e contenuti.
Il merito, a quel punto, è opportuno sia non tanto individuale, quanto e soprattutto di gruppo e di squadra; perché sarà grazie al metodo che ogni cittadino che si trovi in certe condizioni riceverà un medesimo servizio standard.
Il vero merito è creare quel metodo che possa anche fare a meno di Pelè o Maradona o del centravanti. Finchè non si prenderà atto di questo, ogni discettazione e progetto di riforma della PA resterà prigioniero di slogan e preconcetti vetusti e inefficaci.
FONTE: https://leautonomie.it
Scritto da Luigi OLIVERI