Ribassi e costo della manodopera: occorre il salario minimo legale

Ribassi e costo della manodopera: occorre il salario minimo legale per uscire dalle contraddizioni e confusioni del codice degli appalti

Il d.lgs 36/2023 svela ogni giorno di più contraddizioni e problemi interpretativi ed attuativi che si trascinano da sempre, a conferma che il nuovo codice non ha potuto garantire il reale salto di qualità nella chiarezza e nella semplificazione che tutti auspicavano.

Ne è prova la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, 9 giugno 2023, n. 5665. La vicenda riguarda un appalto di servizi caratterizzati da alta incidenza della manodopera. L’operatore economico risultato secondo ha opposto ricorso nei confronti del primo in graduatoria, sul presupposto che il vincitore violando la disciplina delle norme di gara avesse illegittimamente apportato un ribasso sui costi della manodopera.

Il Tar ha accolto il gravame, annullando l’aggiudicazione. Ovviamente, l’OE risultato primo in graduatoria è insorto, presentando appello contro la decisione del giudice di prime cure.

Il Consiglio di Stato ribalta la sentenza del Tar. Di rilievo sono gli sviluppi del ragionamento di Palazzo Spada.

La sentenza prima evidenzia che “diversamente da quanto assume il TAR, in realtà nessuna disposizione della lex specialis prevedeva, e mai avrebbe potuto prevedere (pena la nullità della clausola), un divieto, sanzionato con l’esclusione, per l’ipotesi in cui i costi aziendali della manodopera del concorrente fossero risultati inferiori rispetto a quelli teorici e presunti indicati nella lettera di invito. L’errore in cui sarebbe incorso il TAR è quello di avere sovrapposto e confuso aspetti dell’offerta totalmente diversi, soggetti a discipline diverse. Un conto è infatti il costo teorico medio determinato dalla stazione appaltante ai fini del valore da attribuire all’appalto, ai sensi dell’art. 23, comma 16 del d.lgs. n. 50/2016, altro è invece il costo effettivo della manodopera che il concorrente deve indicare nella propria offerta, ai sensi dell’art. 95, comma 10 del Codice”.

Dopo aver affrontato altri passaggi argomentativi, la sentenza sancisce: “Al fine di leggere e applicare correttamente la clausola della lex specialis, è significativo richiamare, solo quale supporto interpretativo, l’art. 41 comma 14 del d.lgs. 36/2023 che, significativamente, opera una netta “inversione di rotta” rispetto al d.lgs. 50/2016 laddove dispone: Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale. Dunque, “nel “nuovo Codice”, che in applicazione di un preciso criterio di delega di cui all’art. 1 comma 2 lett. t) della L. 78/2022, ha previsto “in ogni caso che i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso” è stata fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale così armonizzando il criterio di delega con l’art. 41 della Costituzione”.

La sentenza, quindi, conferma l’estrema contradditorietà del sistema normativo, causa di una rilevante confusione nell’operatività di molte stazioni appaltanti.

Il Consiglio di Stato, comunque, come visto, distingue:

  1. il costo teorico medio della manodopera determinato dalla stazione appaltante ai fini del valore da attribuire all’appalto;
  2. il costo effettivo della manodopera che il concorrente deve indicare nella propria offerta.

La determinazione del costo teorico del personale ha esclusivamente lo scopo di evidenziare come la stazione appaltante giunga alla fissazione dell’importo a base di gara, che costituisce uno degli elementi fondamentali per la formulazione della proposta contrattuale che l’operatore economico poi trasfonde nell’offerta.

Tuttavia, l’operatore economico conserva integralmente l’autonomia organizzativa ed imprenditoriale di determinare il costo effettivo della propria manodopera, sulla base della propria specifica organizzazione e anche di possibili aspetti contrattuali e normativi (ad esempio, benefici contributivi per alcuni dipendenti da impiegare, come apprendisti o per esempio titolari di Naspi).

Quindi, l’operazione richiesta alle stazioni appaltanti è definire, poniamo in 1.100, la base di gara, comprensiva di 100 per sicurezza, e dunque con un importo ribassabile di 1.000; la SA evidenzia che il costo della manodopera sia, poniamo 800 (stiamo ipotizzando un servizio ad alta intensità di manodopera); tale cifra va evidenziata spiegando come l’amministrazione vi sia arrivata; 200 euro sono riferiti a costi generali ed operativi connessi alla prestazione (macchinari, spese di organizzazione, margine di lucro, eccetera).

L’operatore economico offre un ribasso, poniamo del 10%, quindi il valore complessivo dell’importo offerto, che diverrebbe importo contrattuale, è 900. Il ribasso però può essere frutto di una componente complessa. I 100 euro in meno potrebbero riguardare per 50 euro i costi generali ed operativi connessi alla prestazione; e per altri 50 euro, invece, i costi della manodopera. L’operatore economico, allora, offre un ribasso del 10% ed espone come la composizione della propria offerta scorporando il costo della manodopera quantificato in 750.

In sostanza, il costo della manodopera è una componente (un “di cui”) dell’importo a base di gara; l’operatore economico è lasciato libero di comprendere nel ribasso anche il costo della manodopera, purchè lo evidenzi e sia poi in grado di spiegare come giunga legittimamente a coinvolgere anche il costo nella manodopera nel ribasso complessivo:

Importo del servizio determinato dalla SA

   

(a) importi a misura:

                 –    

a

(b) importi a corpo:

    1.100,00  

b

(c) costo stimato della manodopera già incluso in (a) e (b)

        800,00  

c

(d) costi per la sicurezza [non soggetti a ribasso, già incluso in (a) e (b)

        100,00  

d

(e) somme a disposizione della stazione appaltante

          50,00  

e

(f) importo su cui operare il ribasso:= (a+b)-d

    1.000,00  

f

Offerta

   

(g) importo offerto per servizi a misura

                 –    

g

(h) importo offerto a corpo:

        900,00  

h

(i) importo complessivo offerta g+h

        900,00  

i

(l) ribasso percentuale=(1-(i/f))*100

10,00%

l

(m) importo di contratto, comprendente costi per sicurezza: i+d

    1.000,00  

m

(n) di cui per manodopera

        750,00  

n

Lo capisce chiunque che tale modo di agire scatena una terribile sequenza burocratica, specie nella complessa determinazione del costo della manodopera da parte della SA: un’attività che di fatto non serve sostanzialmente a nulla, poiché l’OE può comunque decidere liberamente come quantificare il proprio costo della manodopera.

La sentenza in commento evidenzia esattamente questi aspetti, conclamando l’impossibilità per la stazione appaltante di considerare il costo della manodopera come esposto negli atti di gara come escluso dal ribasso. La sentenza afferma: “la clausola della lex specialis che imponga il divieto di ribasso sui costi di manodopera, sarebbe in flagrante contrasto con l’art. 97, comma 6 d.lgs. n. 50/2016 e, più in generale, con il principio di libera concorrenza nell’affidamento delle commesse pubbliche”. Quel che la legge non ammette è che l’OE ribassi eventualmente il costo del personale incidendo sui contratti collettivi ed individuali di lavoro, scendendo al di sotto dei minimi da questi specificamente garantiti.

Ora, si comprende perfettamente quanto sarebbe necessario, proprio nel campo degli appalti pubblici, che si fissasse, invece, un trattamento minimo legale: ciò velocizzerebbe moltissimo la definizione del quadro di spesa per le SA ed escluderebbe di per sé qualsiasi tentazione di dumping da parte delle aziende.

Aver, invece, mantenuto l’apparenza di un costo non ribassabile, inducendo le PA alle super complesse modalità di stima dei costi della manodopera, per lasciare comunque, come imprescindibile, gli OE liberi di definire a propria discrezione il costo della manodopera stessa, salvo comunque verificare (con altra procedura molto complessa) quanto dichiara l’OE genera solo carte, confusione, burocrazia.

La sentenza in commento, poi, chiude, a voler rafforzare le statuizioni: “d’altronde, non è superfluo osservare che, a supporre corretto l’argomentare del TAR si arriverebbe (come si è arrivati) a considerare che la gara sia stata indetta solo per vagliare il ribasso sulla voce “spese generali”, ciò che costituisce un assurdo logico prima che una ricostruzione in diritto non condivisibile”.

Tale conclusione, tuttavia, non tragga in inganno. Le amministrazioni possono certamente impostare le gare in modo da non coinvolgere il costo della manodopera in complesse operazioni di scorporo, ribasso, verifiche.

L’articolo 108, comma 5, del codice (in continuità con l’articolo 95, comma 7, del d.lgs 50/2016) dispone: “L’elemento relativo al costo, anche nei casi di cui alle disposizioni richiamate al comma 1, può assumere la forma di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base a criteri qualitativi”.

Per servizi caratterizzati da alta incidenza della manodopera e da concrete possibilità di dispersive attività di verifica dei costi effettivi, dovute alla presenza di moltissimi contratti collettivi anche territoriali tali da frammentare troppo i trattamenti contrattuali innalzando i rischi di un dumping difficile poi da individuare, piuttosto che equivocare sulla non ribassabilità della componente del prezzo contrattuale connessa alla manodopera, le stazioni appaltanti possono scegliere di gestire la gara, applicando il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa solo in base a criteri di qualità della prestazione, non attribuendo al prezzo alcun valore.

E’ un modo per evitare ogni equivoco e pericoli di lungaggini e tensioni conseguenti alle verifiche amministrative derivanti dall’applicazione di ribassi sulla manodopera.

Certo, è una scelta da ponderare bene, che si giustifica solo per servizi di un certo tipo (alta, altissima incidenza della manodopera, oppure rilevanza dei curriculum degli operatori, o rilievo “sociale” dell’appalto che renda inopportuni anche ribassi su costi aziendali ad esempio per tutoraggi o servizi di consulenza e assistenza ai lavoratori impiegati nel cantiere). Inoltre, tale scelta impone un’istruttoria sulla composizione del costo della manodopera molto seria ed approfondita, in modo da scongiurare il pericolo che da un lato il costo si dimostri eccessivo per la PA o, dall’altro, troppo poco sostenibile per le imprese.

L’auspicio è che l’attuale dibattito sul “salario minimo” consenta di intervenire sulla normativa relativa agli appalti, eliminando le misure contraddittorie e confusionali ivi esistenti, introducendo chiari e cogenti minimi salariali, ovviamente da diversificare per settori. Potrebbe anche essere una spinta per il mercato complessivo, quindi anche per le imprese non partecipanti ad appalti pubblici, ad una contrattazione collettiva di maggior qualità e tutela dei lavoratori.

FONTE: https://leautonomie.asmel.eu/