BREVI RIFLESSIONI SULLA CENTRALE DI COMMITTENZA

Scritto da Marco Catalano

La tematica delle centrali di committenza e la loro posibilità di svolgere attività in via principale o ausiliaria a favore delle stazioni appaltanti costituisce un microsistema all’interno del perimetro dei contratti delle pubbliche amministrazioni.

Infatti, al fine di ridurre il numero dei soggetti che aggiudicano appalti il legislatore ha previsto la centrale di committenza che secondo la definizione del codice dei contratti pubblici è una stazione appaltante che gestisce gare d’appalto per conto di più pubbliche amministrazioni italiane.

Una prima regolamentazione si è avuta già sotto la vigenza del dlgs nr. 163 del 2006 laddove il legislatore era intervenuto con novelle volte a ridurre il numero delle stazioni appaltanti.

In base all’art. 33, comma 3-bis del codice dei contratti:

I Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma. Per i Comuni istituiti a seguito di fusione l’obbligo di cui al primo periodo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione.

Circa la qualifica di soggetto aggregatore, l’art. 9 del d.l. 66 del 2014 lasciava la identificazione ad un d.p.c.m., emanato in data 11.11.2014, il cui art. 2 prevede che possano ricoprire tale qualifica

a) città metropolitane istituite ai sensi della legge  7  aprile 2014, n. 56 e del decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156 e  le province;

b) associazioni, unioni e consorzi di enti locali,  ivi  compresi gli accordi tra gli stessi comuni resi in forma di convenzione per la gestione delle attività ai sensi del decreto legislativo  18  agosto 2000, n. 267.

In questo contesto normativo è intervenuto il nuovo codice dei contratti, che, all’art. 38 ha confermato la necessità che, ai fini della effettuazione di una gara di appalto, occorre la qualifica soggettiva di centrale di committenza, attrbuendo all’ANAC la potestà di riconoscimento in capo agli aspiranti del requisito di appartenenza.

In particolare, secondo l’art. 38 del codice, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 37 in materia di aggregazione e centralizzazione degli appalti, è istituito presso l’ANAC, che ne assicura la pubblicità, un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza.

Ai fini di una comprensione completa del fenomeno l’interprete non può non fare a meno, in una materia comunitarizzata come quella dei contratti pubblici, di fare un riferimento a fonti sovraordinate.

Ci si riferisce alla direttiva nr. 2014/24.

Innanzitutto, l’art. 2, comma 1, lett.1) definisce le amministrazioni aggiudicatrici, che sono:

lo Stato, le autorità regionali o locali, gli organismi di diritto pubblico o le associazioni costituite da uno o più di tali autorità o da uno o più di tali organismi di diritto pubblico;

Quanto alla nozione di organismo di diritto pubblico, esso, come è noto, è formato da organismi che hanno le seguenti caratteristiche:

a) sono istituiti per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;

b) sono dotati di personalità giuridica; e

c) sono finanziati per la maggior parte da pubbliche amministrazioni.

Ai fini della qualificazione come organismo di diritto pubblico, quindi, non importa la veste giuridica, pubblica o privata, ma il possesso dei predetti requisiti.

Un soggetto di diritto privato il cui scopo è la soddisfazione di un interesse generale, che abbia la personalità giuridica e che sia costituito da pubbliche amministrazioni è organismo di diritto pubblico e quindi amministrazione aggiudicatrice.

Sempre secondo la direttiva, centrale di committenza è un’amministrazione aggiudicatrice che fornisce attività di centralizzazione delle committenze e, se del caso, attività di committenza ausiliarie;

In particolare, si ha “centralizzazione delle committenze” quando l’attività della amministrazione aggiudicatrice viene svolta su base permanente, in una delle seguenti forme:

a) l’acquisizione di forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici;

b) l’aggiudicazione di appalti o la conclusione di accordi quadro per lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici.

Ricapitolando vi sono :

  1. amministrazioni aggiudicatrici, ovvero pubbliche amministrazioni o organismi di diritto pubblico che aggiudicano i contratti;
  2. centrali di committenza che sono pubbliche amministrazioni o organismi di diritto pubblico che svolgono attività di centralizzazione di acquisti o procedure

In entrambi i casi, ovvero se si vuol qualificare un soggetto come amministrazione aggiudicatrice o centrale di committenza, non è necessario un ulteriore requisito per i soggetti che non sono pubbliche amministrazioni, ovvero l’essere soggetti in house.

La direttiva sul punto è chiara sia nei considerando che nelle definzioni.

Le amministrazioni aggiudicatrici e le centrali di committenza possono rivestire la forma di pubbliche amministrazioni o di organismi di diritto pubblico.

E’ chiaro che quest’ ultimo, a sua volta, può rivestire una forma societaria (sulla base del dlgs nr. 175 del 2016, testo unico sulle società partecipate); ma anche forme privatistiche, come nel caso di un ente di diritto privato a forma asociativa composto da pubbliche amministrazioni che per statuto non può che svolgere attività a favore di pubbliche amministrazioni.

Quel che conta, quindi, è la verifica, tramite una attenta lettura dello statuto, delle caratteristiche per essere organismo di diritto pubblico; è quel che basta per poter essere centrale di committenza.

Null’altro è richiesto dalla norma primaria.

La attività di committenza ausiliaria.

Accando alla cd. attività di committenza ordinaria, sia la direttiva che il codice prevedono anche quella ausiliaria, che consistono nella prestazione di supporto alle attività di committenza, in particolare nelle forme seguenti:

a) infrastrutture tecniche che consentano alle amministrazioni aggiudicatrici di aggiudicare appalti pubblici o di concludere accordi quadro per lavori, forniture o servizi;

b) consulenza sullo svolgimento o sulla progettazione delle procedure di appalto;

c) preparazione e gestione delle procedure di appalto in nome e per conto dell’amministrazione aggiudicatrice interessata;

Chiarito questo, non può non rilevarsi come i requisiti per aversi una centrale di committenza ausiliaria siano gli stessi della centrale di committenza pura e semplice, ovvero essere o amministrazione aggiudicatrice o organismo di diritto pubblico. Anche in questo caso non occorre il requisito dell’essere un soggetto in house.

Se lo statuto o l’atto costitutivo della centrale di committenza (ausiliaria) prevede che l’attività della stessa venga svolta senza un interesse commerciale o industriale, e vi sia una partecipazione e finanziamento di pubbliche amministrazioni, tale ente potrà definirsi centrale di committenza.

Anche la lettura del testo unico degli enti locali conforta questa interpretazione.

Al fine di consentire agli enti locali, specie se di piccole dimensioni, l’esercizio associato di alcune funzioni, il testo unico stimola l’associazionismo, senza, però, indicare la forma giuridica.

Invero l’art. 30 si limita a affermare che al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni.

Tanto premesso, se l’esercizio associato avviene a mezzo di una società, la convenzione dovrà avere le caratteristiche del testo unico del 2016; viceversa, se non si vuole seguire la via dello strumento societario, si potrà ricorrere all’associazionismo non riconosciuto.

Quel che conta è che il contratto sociale sia chiaro nell’escludere la partecipazione e/o l’apporto di capitali privati, e che lo scopo sia quello di favorire la generalità dei consociati.